Come forse ricorderete (ma in ogni caso vi rimandiamo al nostro primo articolo!), sul blog abbiamo già parlato di Mindhunter e delle vicende che hanno ispirato questa fortunatissima serie disponibile su Netflix: la seconda stagione è stata pubblicata pochi giorni fa e ha confermato tutti i commenti positivi fatti per i primi dieci episodi. La storia è interessante, gli attori formidabili, l’ambientazione coinvolgente e su tutto regna sovrano il marchio di Fincher, riconoscibile fin dai primi secondi dell’undicesima puntata.
La seconda stagione ha, se possibile, alzato l’asticella e ha permesso anche di evidenziare un elemento che era già stato oggetto di approfondimenti due anni fa: la colonna sonora.
Curata nel dettaglio, sempre perfettamente sincronizzata con quanto avviene sullo schermo, ricostruita pezzo per pezzo sfruttando alcuni dei più grandi artisti dell’epoca… la soundtrack contribuisce a creare un’atmosfera precisa, senza mai farci scordare che ci troviamo alle porte degli anni ’80.
La colonna sonora: fra sfondo e racconto
Le canzoni scelte per le due stagioni di Mindhunter si possono dividere in due grandi categorie: i brani “da sfondo” e quelli che – invece – raccontano qualcosa.
I brani che fanno da sfondo sono solitamente pezzi molto famosi, che rendono credibile una serie ambientata alla fine degli anni ’70 e aiutano lo spettatore a immergersi in una realtà discretamente lontana nel tempo: fra questi, per esempio, Call Me di Blondie o Ashes to Ashes di David Bowie.
Canzoni di un certo peso, veri e propri capolavori, che diventano un punto di riferimento e aiutano a non perdere di vista il contesto: siamo agli inizi dell’avventura dei profiler e alcuni elementi, che magari a noi possono sembrare ovvi, di certo non lo erano all’epoca.
Un piccolo reminder, quindi: anche se alcuni passaggi possono sembrare incredibili (per esempio, la discussione riguardo l’omosessualità o il trattamento spesso riservato alle protagoniste femminili), non possiamo dimenticare che si tratta degli Stati Uniti di 40 anni fa. Per certi versi, un mondo completamente diverso dal nostro.
I brani che raccontano “qualcosa”, invece, sono attentamente selezionati (sempre fra gli album disponibili all’epoca) e incorporati agli episodi con l’obiettivo di aggiungere un pezzettino di storia.
Non fanno solo da sfondo, in alcuni casi sono i protagonisti della scena.
Pensate alla macabra In every dream home a heartache dei Roxy Music: la canzone apre la seconda stagione e occupa, ingombra letteralmente, la prima apparizione del serial killer BTK.
Il brano è lugubre, anticlimatico, non esiste un ritornello e chi ascolta resta in attesa di una svolta, un cambiamento che non arriva mai: piuttosto interessante se consideriamo che questo particolare assassino non verrà trovato dalle autorità fino al 2005. Ne vediamo la genesi, scopriamo le sue fantasie, temiamo le sue azioni, ma non possiamo farci nulla: continuerà ad agire per più di 30 anni.
E noi lo sappiamo fin dal primo secondo.
Stessa cosa succede con altre canzoni: The Overload dei Talking Heads, Darkness dei Police, Intruder di Peter Gabriel (che, di nuovo, aggiunge un pezzo e ci accompagna nella visione delle trasformazioni di BTK)…
La scelta più sorprendente riguarda, però, l’episodio 5, quello in cui compare il criminale più atteso di tutti, Charles Manson. Tutta la puntata, infatti, balla al ritmo di uno dei pezzi registrati da questo personaggio: Cease to Exist.
La sentiamo all’inizio, l’ascoltiamo sui titoli di coda, è come se non potessimo togliercela dalla testa: al mondo esiste Manson, esistono uomini come lui e, purtroppo, non possiamo evitarlo.
Un po’ il discorso che Manson fa a Finch durante la sua intervista…
La terza stagione di Mindhunter promette nuovi importanti nomi e una svolta significativa nella storia: chissà se anche la colonna sonora riserverà sorprese!