Il disastro di Chernobyl è stato raccontato da documentari, film, libri, canzoni, fotografie: ha devastato un’intera regione, ucciso migliaia di abitanti (ma le reali conseguenze dell’esposizione prolungata alle radiazioni sono ancora sconosciute) e creato una nuova consapevolezza riguardo all’utilizzo del nucleare, con la nascita di forum e movimenti d’opposizione.
Da pochi anni, però, ha dato vita anche ad un nuovo tipo di investimento commerciale: la sede del reattore, Chernobyl e la vicina Pripyat sono, infatti, diventate meta di tour organizzati, ufficialmente legalizzati a partire dal 2011.
Ma procediamo con ordine.
Il disastro di Chernobyl consiste nell’esplosione del reattore n.4 della locale centrale nucleare, nella notte fra il 25 e il 26 aprile 1986: alle 01:23:45, due tremende deflagrazioni esposero il nocciolo, provocando una diffusione di fumi tossici radioattivi, terminati solo nella giornata del 10 maggio.
L’incidente, riassumendo i punti principali, sarebbe stato causato dalla somma di diversi fattori di rischio, compreso un difetto di progettazione riguardante le barre di controllo, fino ad allora sconosciuto a tutti gli operatori.
Il 25 aprile del 1986, gli addetti al reattore n.4 vennero coinvolti in un test tecnico, richiesto espressamente dal regime per scoprire come i diversi materiali e la struttura avrebbe assorbito un ipotetico attacco nemico, capace di interrompere momentaneamente il rifornimento di energia elettrica.
Il test, previsto in giornata, venne però spostato alle ore notturne.
La seconda squadra – un totale di 3 persone – non era sufficientemente preparata alle modalità di verifica suggerite: nonostante tutto, il loro supervisore, Anatolij Djatlov, era assolutamente convinto di dover portare a termine le procedure richieste.
Poco dopo mezzanotte, la potenza del reattore venne, quindi, pericolosamente abbassata per iniziare il test. Un primo involontario arresto del sistema non scoraggiò il responsabile, che richiese un nuovo aumento di potenza per poter comunque procedere con le verifiche.
L’alimentazione venne definitivamente staccata alle 01:23:04 e, 30 secondi dopo circa, si eseguì – non è ancora ben chiaro perché – uno SCRAM, cioè un arresto d’emergenza del reattore con inserimento forzato delle barre di controllo.
Il precedente aumento di potenza e temperatura bloccò, però, le barre a 1/3 del loro percorso: la forza del reattore crebbe tanto da raggiungere un livello 10 volte superiore al normale.
Il combustibile iniziò a fondere, i vapori compressi a salire: la prima esplosione strappò il portellone del nocciolo, la seconda – più forte – provocò il crollo del solaio e di parte dell’edificio.
Due operatori della centrale, addetti alle pompe, morirono sul colpo, la maggioranza degli altri attraversò giorni, settimane o anche anni di agonia, mentre le radiazioni li uccidevano lentamente.
L’evacuazione di Chernobyl e della vicina Pripyat (paesino a 3 Km di distanza, abitato solo da dipendenti della centrale) iniziò incomprensibilmente ben 36 ore dopo l’esplosione: i più dovettero lasciare tutto così com’era e correre via il più velocemente possibile.
Ed è qui che si inserisce il turismo macabro.
La zona di esclusione attorno alla centrale, con un raggio di circa 30 Km, è rimasta chiusa per quasi 30 anni: Chernobyl è uno dei luoghi più radioattivi del pianeta e soggiornarvi non è fra le decisioni più sicure che si possano prendere.
Certo, la Dead Zone non è mai stata davvero disabitata: prima i liquidatori, cioè i lavoratori addetti alla chiusura del reattore, poi alcuni residenti, poi circa 2000 pendolari, gli addetti alle nuove manutenzioni e alcuni vecchi abitanti, che dopo solo 1 anno hanno preferito rischiare, tornando alle loro case.
E poi scienziati, giornalisti, fotografi, saccheggiatori…
Ma dal 2011, i tour operator offrono percorsi turistici dell’orrore, che includono una visita alla città, una sosta al reattore (con tanto di contatore geiger sempre attivo, a segnalare il livello estremo di radiazioni), un passaggio al monumento per i pompieri e, infine, un paio di foto a Pripyat, particolarmente ambita per il numero di oggetti di uso comune lasciati indietro dagli abitanti.
Alcuni lo fanno per conoscere davvero il dramma di chi ha vissuto il disastro, altri perché sono appassionati di luoghi abbandonati e vogliono un po’ di avventura.
A loro si affiancano gli Stalker, giovani locali che entrano illegalmente nella Dead Zone, soggiornando nelle case abbandonate e passando intere giornate fra le macerie e le radiazioni: figli di una generazione colpita duramente da questo incidente, trascorrono il tempo a Chernobyl, per trovare la pace e recuperare il totale controllo del proprio destino.
Chernobyl è, quindi, diventata una meta ambita, un po’ per la sua storia, un po’ per i segreti e i tesori che ancora cela: voi cosa ne pensate?
Vorreste visitarla?