Hereditary, film horror del 2018, è il primo lungometraggio realizzato dal regista statunitense Ari Aster, che ha curato anche soggetto e sceneggiatura: la pellicola, una vera e propria sorpresa per gli amanti del genere, è stata grande protagonista di analisi e critiche, merito soprattutto della sua complessità e dell’intreccio di piani e tematiche che contribuisce a rendere la storia interessante ed inquietante. Per comprendere tutti gli aspetti più importanti della trama, gli elementi che suggeriscono allo spettatore quello che sta per succedere (il famoso foreshadowing) e l’origine di ogni piega del dramma non basta una sola visione: come tante volte accade per i capolavori dell’orrore, è necessario ritornare più volte su scene e dialoghi per capire a pieno la bellezza di ogni collegamento.
Avete presente Il Sesto Senso? Arrivati ai titoli di coda ogni pezzo del puzzle assume il suo reale significato e il pubblico – con un passo indietro – può vedere con chiarezza il quadro completo. Per Hereditary succede una cosa molto simile e, giunti alla fine, ogni particolare diventa improvvisamente qualcosa di diverso, costringendoci a rivedere le nostre certezze.
Nel film ci sono numerosi particolari più o meno nascosti, che sembrano mostrarci palesemente lo svolgersi della trama: il problema è che al momento delle rivelazioni sappiamo ancora troppo poco della storia per vedere chiaramente quell’indice puntato sulla verità.
Vediamo, allora, alcuni dettagli che potrebbero essere sfuggiti ai più alla prima visione della pellicola!
- Le case delle bambole
La protagonista del film, Annie, ricostruisce con abilità scene di vita vera, realizzando impressionanti casette delle bambole: nel corso del film vediamo – per esempio – una galleria d’arte, un ospedale, persino l’incidente che ha portato alla morte della figlia Charlie.
Tutto è riportato nei particolari, tanto che in alcune inquadrature si fatica a distinguere realtà e scena ricostruita. Il lungometraggio – però – gioca su questa ambiguità fin dall’inizio, trasformando nei titoli di testa una scenetta nella stanza di Peter e indugiando su inquadrature che spesso ricreano un effetto “finto”, quasi a volerci convincere che anche i protagonisti della storia siano, in realtà, bamboline senza libero arbitrio.
E – in effetti – l’assenza di una scelta e della possibilità di cambiare le cose è un tema centrale nel film, tanto da diventare argomento di una discussione a scuola: la classe di Peter dibatte, infatti, sulla figura di Ercole e sulla possibilità o meno dell’eroe di poter effettivamente cambiare la sua sorte. Essere pedine di un gioco più grande di noi rende tutto molto più tragico: la fine è inevitabile, nonostante qualsiasi sforzo. - Il simbolo di Paimon
Uno dei meriti di Hereditary è sicuramente quello di aver trattato un tema già visto in passato – quello dei demoni e delle possessioni – senza cadere in cliché che avrebbero sicuramente tradito il finale prima del previsto. Non si sono pentagoni o croci rovesciate, non ci sono ceri neri o animali feroci: il simbolo di Paimon – uno dei re dell’Inferno – è semplice e originale, non assomiglia a nulla di già visto e non è circondato da un alone di mistero, almeno in prima battuta.
Sembra quasi una scritta in una lingua antica e lo ritroviamo nei posti più disparati: è nei ciondoli di Annie e della madre, è riportato su uno dei tappeti decorati visibili nel film (quello di Charles, per essere precisi), è disegnato sul muro della soffitta quando le cose iniziano a precipitare, è riprodotto sulla copertina di uno dei libri della nonna ed è inciso perfino sul palo contro cui si scontra Peter nel momento chiave della pellicola. Arrivati alla fine è chiaro che quel simbolo significa qualcosa di oscuro, ma ci arriviamo dopo un lungo percorso fatto di suggerimenti spesso appena visibili. - Tre curve, tre teste
Un disegno raffigurante Paimon viene visto di sfuggita all’interno di uno dei libri che sta consultando Annie nella disperata ricerca di una spiegazione: è seduto su un cammello o un dromedario e trasporta – in basso a destra – tre teste. Nel film sono presenti proprio tre decapitazioni, che riportano anche se non in modo eclatante e immediatamente chiaro (la decapitazione di Charlie arriva troppo presto nel film per poter capire al volo) al demone invocato dal culto che circonda la famiglia. - Qualcosa non va con Joan
Annie si rifugia nella nuova amicizia con Joan per affrontare in qualche modo i lutti che hanno segnato la sua vita, ma Joan è strana e lo percepiamo, magari non consapevolmente, da subito. Qualcosa in lei non torna.
Alla prima riunione a cui partecipa Annie per trovare supporto, Joan la guarda in modo insistente, come se non vedesse l’ora di sentire la sua storia e quando poi si incontrano al supermercato è Joan a convincere la protagonista ad assistere a una sua seduta spiritica. A casa, usa una lavagnetta per creare un legame con lo spirito del nipote e dice ad Annie di usare un oggetto appartenuto al defunto per aprire una comunicazione.
Avrebbe senso se non fosse che – tornando poco indietro – è possibile vedere che la lavagnetta è stata appena comprata da Joan al supermercato (mentre le due discutono si vede la scatola spuntare dal baule della macchina): tutto il dialogo, la seduta, le indicazioni non sono che una trappola, in cui Annie cade con pochissime resistenze.
Joan non è che un’ottima – e crudele – attrice. - I membri del culto sono ovunque
Non capiamo subito, non ricolleghiamo le cose, ma i membri del culto sono dappertutto.
Al funerale della nonna, un uomo sorride a Charlie: sempre lui, sempre sorridente, tornerà a nascondersi nel buio della casa per assistere all’inutile fuga di Peter. Una donna saluta Charlie fuori da scuola e sempre lei sarà fra i membri visibili in soffitta. Fuori dalla finestra di Peter è possibile vedere la nuvoletta del fiato di qualcuno che lo sta spiando e che non vediamo in faccia. Poco prima della fine, aguzzando la vista, è possibile notare fa gli alberi fuori dalla casa decine di uomini e donne in piedi, in attesa dell’arrivo di Paimon.
La famiglia è circondata fin dai primi minuti del film: per una conferma basta riguardare la scena in cui genitori e figli tornano a casa dopo il funerale della nonna.
Appena appena percepibili, prima che la porta si apra, ci sono dei passi provenienti – pare – dal piano di sopra, proprio dove poi Annie troverà il disegno di un triangolo, il simbolo di Paimon e il corpo della madre profanato! - Le vittime vengono drogate a loro insaputa
Per permettere a Paimon di controllare i loro corpi, le vittime vanno drogate con una particolare erba. Charlie è stata nutrita dalla nonna fin da neonata, quindi possiamo pensare che la sostanza sia stata inserita nei biberon.
Annie trova un’erba strana nel suo the mentre chiacchiera con Joan (la ripresa dura pochi secondi e non capiamo cosa voglia dire) e Peter ha uno strano attacco di ansia mentre fuma coi suoi amici. Uno di quegli amici, però, ricomparirà fra i membri del culto alla fine del film… è tutto collegato! - Quella faccia sulla tua faccia!
È una delle battute più famose del film: Annie litiga con Peter e gli dice di non sopportare più quella “face on your face!”, quella faccia sulla sua faccia. In italiano è stato tradotto col meno letterale “espressione sulla tua faccia”, ma l’adattamento fa perdere una sottile sfumatura. Come vediamo poco più tardi, infatti, Peter nota su uno sportello a scuola che il suo riflesso sorride in modo inquietante, anche se lui è serio e spaventato: possibile che Paimon abbia agito di nascosto, per creare le circostanze che potessero alimentare lo scontro fra i due? Magari Annie vede proprio quel ghigno e Peter non ne è nemmeno consapevole! - Annie sa tutto?
In diverse scene del film sembra che Annie odi suo figlio: sogna di dargli fuoco, di dirgli che voleva abortire e – in alcune occasioni – arriva quasi a fargli del male.
Poco prima – però – durante il suo primo incontro con il gruppo di sostegno, la protagonista rivela che il fratello si è ucciso in gioventù, dopo aver accusato la madre di volergli “mettere delle persone dentro”. Possibile che Annie avesse in qualche modo inconsciamente compreso cosa stesse facendo la madre già col fratello? Possibile che cercasse di liberare Peter dal rischio di diventare semplice contenitore per Paimon?
La pellicola gioca – e molto bene – sul confine fra sovrannaturale e malattia mentale: difficile, quindi, rispondere con certezza a queste domande.
Ari Aster è anche il regista di Midsommar, un’altra pellicola horror che ha sconvolto il settore nel 2019: dopo Hereditary sembra, quindi, che potremo aspettarci film sempre più spettacolari, capaci di alzare costantemente l’asticella.
Non vediamo l’ora!